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Roberto Marconi e il paese invisibile

1) Il tuo libro di poesia, il paese invisibile e il passo per inventarlo:  (Prefazione di Umberto Piersanti, Arcipelago Itaca, Osimo 2022), ha iniziato il suo viaggio tra i lettori, tra gli spettatori…

Questa è la parte che amo, insieme all’atto creativo, ossia l’incontro con chi ascolterà, leggerà questo mio libro e magari vorrà dirne qualcosa (alla fine riporto la mia mail: rolocomotor@gmail com per scambiare opinioni, accettare eventuali inviti a presentarlo). Si completa un cerchio iniziato anni fa. Tanti erano i libri impostati, poi la scelta di ripercorrere quelli con il cuore nella geografia, i testi paesaggistici per così dire, che mi riportavano, come tutti i giorni, a imbattermi in persone/personaggi e luoghi del passato e del presente, che hanno, appunto, generato questo libro, unico, dedicato a Giovanni Prosperi, un amico che ha un po’ seguito le sorti della mia scrittura, è stato presente e lo è ancora benché la morte se lo sia preso presto. Le sue trovate, il suo spingersi all’essenza della parola, nella verticalità dei temi. Aveva scritto un racconto, quando era venuto dalle mie parti per l’ultima volta. Mi aveva letto nel pensiero: percepiva il luogo, tra collina e mare, come la fenomenologia geografica delle Marche. Il territorio, da cui parte il mio percorso poetico, ha le caratteristiche della regione. Le contraddizioni d’un paese si sono accasate. Le parole ne sono testimonianza. Le immagini pure.

2) Memoria di un paese reale, quello della tua nascita e crescita, e di paesi altrettanto presenti per esperienza e letture: luoghi invisibili sì ma pure visibili, o di una visibilità evocata, pervasa di nostalgia e di una sottile indignazione per chi li ha fatti o vuole farli scomparire sotto la coltre della modernità...

Mi ha risposto una poeta (o l’ho pensato io?) che approcciandosi al libro è nata la domanda: ma come si entra in un paese invisibile? Appena ha trovato luce in una porta, la fatica s’è sciolta, ponendosi in sintonia con la lingua, con le metafore incrociate, lasciando parlare il cuore. Non doveva capire ma comprendere, è il patto tra chi legge e chi scrive: condividere esperienze. (Cosa che dovrebbe sempre essere tra amministratori, amministrativi e cittadini!)

Un agronomo e scrittore, Gilles Clément, ha preso in prestito il concetto di Terzo Stato prima della Rivoluzione Francese dislocandolo nel paesaggio: se il primo e il secondo paesaggio sono quelli dove la presenza dell’uomo è anche fin troppo invasiva, il terzo è quello dell’incolto, dell’abbandono, di cui nessuno si occupa (come un fosso che sta tra strada e campo).

Ho scritto il paese invisibile avendo nell’inconscio pure questa teoria. Quanti luoghi, persone sono rifiutate, emarginate? Il nostro vivere è straniero, nel vestire, mangiare, ecc., ma non sappiamo, non ci interessa più la provenienza, come e da chi è stato fatto e manco la qualità; però se bussano stranieri, spesso per non dire sempre, non siamo samaritani anzi diffidiamo, anche perché qualcuno ci ha detto di avere paura. Il timore s’è allargato al vicino. Magari s’inizia da piccoli essendo bullizzati (a me è successo) e poi da grandi si rimane etichettati, relegati a essere quello che alcuni vogliono. Il mio lavoro nel sociale (compreso il volontariato) mi ha fatto capire molto delle dinamiche della vita e trova spesso alloggio in ogni mio libro. In quella sorta di terra di nessuno c’è una certa meraviglia sana, che può far scattare una diversità e insegnarci nuovamente a vivere.

3) Il tuo pensiero si realizza in questo libro anche con scarti e diversità grafiche: corsivo e carattere normale, allineamento dei testi a destra e a sinistra, poesia dentro un corpo di prosa…

È la lirica dell’affrontare intoppi come le buche d’una strada, le urla che escono da una casa, gli occhi lucenti davanti a una nuvola, un gatta nera e disabile che scappa... Le Soglie come le intendeva Genette, ossia ciò che è paratestuale (i titoli, i caratteri, le introduzioni, le citazioni, gli pseudonimi, ecc.), entrano per natura in ciò che scrivo. E il corsivo ne è un esempio: nei testi in esergo è quasi d’obbligo, in altri diventa una sorta di specchio col testo non corsivo della pagina accanto (poiché scrivo dello stesso luogo da un altro punto di vista); in altri testi invece il corsivo diventa una sorta di flashback, un momento del passato lontano che affiora fortemente nel presente, specie nelle prime pagine del libro.

Ci sono tanti altri segreti ma non è dovuto svelarli, come non riesco a fermarmi a un genere. È successo nel precedente libro Il collaudatore d’altalene - sottotitolo: autismi e artifici letterari -: lì un’amica mi disse che la lettura, ardua (senza punteggiatura proprio come un flusso di coscienza alla Joyce), di un capitolo sulla vita dentro un istituto di riabilitazione, le aveva fatto provare la sofferenza degli ospiti di quella struttura.

Gli influssi che mi hanno attraversato per la mia scrittura sono molteplici. Migliaia sarebbero i nomi: la poesia italiana dal ’900 ai giorni nostri ma anche quella mondiale. A volte, perché non basta una vita per conoscere tutta la poesia pubblicata, basta ascoltare bene un grande poeta per assaporare i versi di autrici/autori magari del secolo scorso. Il caso poi vuole che mi occupi, con un’associazione culturale, della gestione di una biblioteca comunale: lì curo con amore la sezione della poesia fino alla contemporanea, che mi viene a trovare nei sogni…

4) ...poi i sussulti (di me lettrice anche per professione) per certe particolarità: il frontespizio ha un altro titolo, il paese invisibile e il passo per diventarlo. inventarlo/diventarlo: quasi necessità di inventare il paese invisibile, una sorta di pensiero utopico...da far esistere; il timore che il paese (quello che esiste ancora nella memoria e negli animi e nell’agire delle persone attente all’umana vivenza) possa diventare invisibile, scomparire sotto la spinta dell’individualismo e della virtualità dilagante, del globale che inghiotte il locale…

…il paese invisibile è quello che non vediamo, quello che si percepisce, che non si fa vedere, quello che, sebbene ci si pari davanti, si continua a non guardare nei suoi lati delicati e in quelli splendidi, il paese distratto o i distratti paesani, ecc. Cerco, nel declamarlo, di trovare i modi sia per inventarlo sia perché non lo diventi. Non un gioco di parole ma una possibilità anche di farne parte appieno, come un mantra.

Il libro inizia così: tu prendine uno non il primo manco il secondo / di paese prendi il tuo e fai la prova usando né / fiere né rifiuti speciali come son spesso le neo- / imprese: una serie per inventare per diventare / come un cielo in cerca di stelle tutto l’anno in / pratica una comunità di quartiere o libro aperto / quando offrivo ogni sasso in comune seminato / dalla spiaggia o donato dalla ghiaia. Poi venivo / dileggiato. Immagina quanto sarebbe contro- / indicativo governare non sapendo la storia.

Da questa finzione letteraria, per niente falsa, prendo a ricostruire le fondamenta sentimentali di un paese e il suo respiro quotidiano. Come scrive bene Piersanti (che ringrazio anche per i suggerimenti), ho scelto un luogo, un punto di vista, Potenza Picena, “spazio privilegiato da dove guardare e riflettere sul mondo e sull’esistere in quanto tale: un angolo intriso di figure, episodi, memorie che sono sì universali, ma che non perdono il colore, l’odore, il sapore di quel brano delle Marche, unico come sono tutti unici i brani di terra che un autore sappia comprendere e raccontare”.

5) ...infine l’Indice, che è una pagina bianca: tutto da scrivere, nel suo significato più proprio di elenco dell’una o dell’altra evenienza (inventare/diventare) per il paese?

Appunto, siamo sempre sulle Soglie. Voglio dare la possibilità a chi legge di intervenire, di immaginare, di inventare in una pagina bianca il suo ideale di paese, respirarne la fantasia, diventare utopicamente “cittadino” vero. Questa è una delle mie deformazioni professionali dopo aver divorato tanta letteratura dell’infanzia. Il vissero felici e contenti è soltanto l’inizio dei problemi.

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